Il blog di Dire Fare l'Amore
Il pisello nuovo di Inachis [snapshot]
Ci deve essere un mixer emotivo, qualcosa di studiato per accompagnare il paziente che si fa rimettere a nuovo il pisello. Una sapiente regia che mi guida dalla stanza alla sala operatoria, passato di mano in mano a infermiere progressivamente più carine e meno gentili.
Mi accoglie in reparto una cicciottella che sprizza allegria dagli occhi e ha messo una croce di cerotto rosa sulla scollatura della blusa azzurra perché non le sbirciassero le tette. Lei è quella che registra, informa, depila. Mi fa indossare il camice da Full Monty medical edition e mi mette a letto. Manca solo mi rimbocchi le coperte.
Dopo mezzora, goccine di Valium servite in mezzo bicchiere d’acqua da una seconda infermiera coi capelli rossi (già un passo in avanti, come potete vedere). Comincio a sentirne gli effetti e per la prima volta in vita mia immagino una carriera da tossico, precocemente interrotta però dall’ingresso di una coorte di giovani medici disposti a testuggine intorno a un uomo alto, abbronzato, sapientemente brizzolato, con camice azzurro della linea Armani Lancet.
Ed è lì che faccio “La domanda che non si fa”. Chiedo ingenuamente: «Lei è il chirurgo?». Cerco di dirlo con gentilezza, senza tradire l’apprensione di chi sta per conoscere Colui a cui affiderà il suo prezioso apparato. Vedo gli occhi dei giovani in camice rabbrividire. Si guardano come pretini che scoprono un ateo in seminario. Poi gli sguardi convergono a tempo sul Capo, che lascia cadere un secco: «Sono il primario».
‘Stica… sarebbe stata la risposta giusta ma riesco invece a fare due o tre domande strategiche dalle quali ricevo due o tre risposte evasive, ma in compenso arroganti.
Exit il primario e la sua ghenga, mi metto a leggere la biografia di Big Man Clarence Clemons cercando di ignorare le confidenze intime del sessantenne vicino di letto (però le ho twittate in diretta per i fortunati all’ascolto). Due pagine e trambusto di porte per l’ingresso di una coppia di portantini che mi sbaraccano letto e pisello così come sono, non senza avermi fatto prima deporre Big Man e indossare una cuffietta verde che mi dà un’aria irresistibile.
Ascensori e corridoi visti dalla barella, in soggettiva come in tutti i film in cui ci sia una scena ambientata in ospedale.
La progressione continua: facce nuove mi appaiono davanti e mi convinco che nella zona del blocco operatorio il personale, dopo il concorso, passa anche un casting, con la lodevole eccezione di una simpatica toscana che mi confida che anche il suo compagno ha fatto recentemente lo stesso intervento «e dopo è stato ancora meglio di prima!» (strizza anche l’occhio, complice).
In compenso, nessuno ti spiega più nulla, né si presenta, né ti dice chi è o cosa ti farà: da “Numero 14” divento addirittura “Il frenulo” (sempre meglio di quello dopo di me che è soprannominato “Il testicolo”) e vengo spiaggiato come una balena in una sala piena di luci e di macchinari.
Qui capisco che il paziente migliore è quello addormentato perché in un vidiri svidiri una decisa donnona di cui vedo solo le mani (non so quindi se segua la legge della progressione carina-antipatica, però antipatica lo è di certo…) mi appoggia sul petto una maschera e qualche metro di tubi trasparenti e inquietanti. Sono dispiaciuto di non averla vista in faccia perché mi ero fatto un film su un possibile racconto erotico incentrato su un’anestesista-rianimatrice e volevo farmi ispirare.
Poi, senza preavviso, mi spara in vena un cocktail fighissimo che mi spedisce in pochi secondi nelle nebbie. L’ultimo pensiero è per il compianto Michael Jackson, che lo usava alla sera per prendere sonno.
Ho sempre pensato che mi avrebbe risvegliato il dolore al birillo, e invece è la voce di un’altra invisibile infermiera che mi chiede come sto.
Non so perché rispondo «Stavo sognando».
«Cosa?», domanda.
«Se glielo dico mi saltano i punti…».
Non so se ride alla battuta (mediocre, ammetto. Ma ero semi addormentato, da sveglio posso fare di meglio) perché ripiombo in un sonno profondo.
Riappaio alla vita nella mia cameretta. Alzo subito il lenzuolo per vedere cosa ne è rimasto e saluto con gioia il mio vecchio compare, dall’aria sofferta ma apparentemente integro. Non fa nemmeno male.
Ora, per un po’, siamo in vacanza, io e lui.
Sono diventato un fan dell’anestesia totale: un’esperienza affascinante, spossessante, dépaisante, la sensazione di essere totalmente nelle mani di un altro. Di non potere nulla, di farsi fare di tutto senza reagire. L’avevo detto che poteva venirci fuori un bel racconto, no?
2 Commenti
Giulia
25 Aprile 2010Che uomo…
marcy
27 Aprile 2010carissimo…ora tutto bene?