Il blog di Dire Fare l'Amore

Non ho niente da mettermi [racconto erotico]

Non ho niente da mettermi

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Apre la porta della cabina armadio. Entra. Sfila pantaloncini e maglietta, restando in reggiseno e mutandine: mezza nuda in mezzo agli abiti che ha collezionato negli anni. Per ognuno un ricordo, allegro o doloroso. Si guarda intorno indecisa. Ne afferra uno, lo libera dal cellophan della tintoria. Se lo appoggia addosso. E’ lungo fino ai piedi, di cotone chiaro.
No, non ci siamo.
Lo ripone e ne sceglie un altro. Più corto. E’ una seta leggera, una carezza.
Respira.
La pelle si increspa, più di emozione che di freddo.
Lo indossa dalla testa, lo lascia cadere lungo il corpo. Lo liscia ancora con le mani, poi fa per uscire.
Esita, si guarda allo specchio.
Dovrebbe andare.
Dovrebbe piacergli.
Così Ester fa un bel respiro, e si prende il tempo per ripensare alla strana richiesta dell’uomo che ora è seduto sul suo letto, appena fuori dalla cabina armadio, vestito di tutto punto. Le viene da ridere, come sempre quando è nervosa.
Ma le viene anche da sorridere, come sempre quando è divertita, cosa che non le succede da un po’ di tempo.
Un’ultima occhiata allo specchio, un’ultima approvazione.
Certo che è un tipo strano, educato, rispettoso, si vedono da qualche mese, parlano molto, una corte discreta che nemmeno può defiinirsi tale. La fa sentire protetta e in alcuni momenti in pericolo. Un uomo che dà sicurezza, poi improvvisamente la toglie. Come oggi, quando la sorprende dicendo, quasi fosse una cosa scontata: “Sceglierò io come ti vestirai stasera”. E ora è qui.
*
Un’ora dopo Ester è al ristorante. Un posto curato, di un’eleganza non esibita. L’abito le sembra decisamente troppo corto. Però deve ammettere che le sta benissimo: alla fine ha fatto la scelta giusta.
Guarda dall’altra parte del tavolo l’uomo che sta cenando con lei, e che non è lo stesso con cui ha scelto il vestito. Ricambia un sorriso. E’ impacciata, la mente è affollata di pensieri.
Lui sta parlando di una mostra che ha visto: se deve essere sincera non ha capito nemmeno quale, ma le fa comodo che sia un cavaliere loquace, che riempie i suoi silenzi.
Sente il bip di un messaggio. Ha lasciato la suoneria del telefono al minimo. Si è scusata con l’uomo adducendo motivi di lavoro. In realtà sa bene da chi arriva.
L’uomo dice che la mostra era allestita benissimo.
Ester annuisce, sorride ancora.
Il telefono, nella borsetta appoggiata in un angolo del tavolo sembra bruciare.
L’uomo dice che però le opere erano troppo poche.
Ester annuisce ancora. Lo sguardo le cade in diagonale.
L’uomo dice “Guarda pure, ci mancherebbe. Il lavoro…”
Ester si scusa con gli occhi e subito sfila il cellulare, scorre il dito.
Legge.
“Devo andare un attimo in bagno”, dice prendendo la borsetta.
“Certo”, risponde l’uomo.
*
Appena uscita dalla cabina, aveva sentito lo sguardo dell’uomo come un vento leggero che si insinuava sotto la gonna e la accarezzava tra le gambe.
“Sei bellissima”, aveva detto.
Si era alzato, le aveva dato la mano (era sicura, l’aveva stretta appena più del necessario), l’aveva fatta ruotare su se stessa, e aveva confermato “Sei bellissima”.
Poi si era seduto, lei in piedi, mentre le pieghe della gonna tornavano a posto, ma il respiro ancora no.
“Però non credo sia quello che cerchiamo. Ne proveresti un altro?”.
“Come lo vorresti?”.
“Più corto, più aderente”.
Tornata nella cabina, Ester aveva passato in rassegna i capi del guardaroba. Era inevitabile collegarli ai ricordi. Il tubino della sua prima uscita con Alberto; lo stesso dell’ultima peraltro, visto che si erano frequentati per una sola, e anche breve notte. L’abito a fiori del matrimonio di Carlotta, dove aveva conosciuto Giorgio.
Poi la mano aveva sentito una stoffa che ricordava bene. Il vestitino – questo sì corto, piuttosto corto – che aveva comprato con Angelica ai saldi dello scorso anno. Erano andate insieme, ne avevano presi due uguali, ma di colori diversi. Il suo blu notte, quello di Angelica verde. Scherzando avevano detto che avrebbero dovuto farsi delle foto insieme. E poi era andata davvero così: il ragazzo di Angelica era fotografo e una sera, dopo un paio di bottiglie di bianco freddo, li avevano indossati di là, nella camera da letto, mentre il ragazzo prendeva la macchina in sala.
Le aveva fatte sedere sul divano, una nelle braccia dell’altra. Aveva scattato solo poche foto, alla luce della lampada, mentre erano così vicine da respirare insieme. In una di queste, Angelica guarda l’obiettivo: nei suoi occhi c’è una luce che brilla. Sulla spalla nuda, la mano di Ester.
Nella cabina Ester aveva allora sfiorato esitando il vestito.
“Questo è troppo”, si era detta, anche forse per via del ricordo.
Ma poi, dalla stanza, l’aveva raggiunta la voce dell’uomo: “Se sei indecisa, osa!”.
Sorrideva, la sua voce. Le aveva dato energia.
Aveva staccato il vestito dalla gruccia.
Lo aveva infilato.
Era uscita per sentire ancora quel vento tra le gambe.
*
Alle spalle, Ester sente la voce dell’uomo che le chiede con un velo di preoccupazione “Tutto bene?”. Non gli dà retta e svolta a destra verso la porta del bagno.
Entra. La chiude.
Si appoggia alla parete e legge di nuovo il messaggio sul telefono.
No, non lo farà. Questo è oltre ciò che può accettare.
E se poi lui se ne accorgesse?
Lo immagina al tavolo, mentre la aspetta per raccontare ancora di quella mostra. In fondo è una brava persona, che la corteggia da tempo e ora finalmente ha ottenuto questa cena. Si sta comportando educatamente (“troppo educatamente”, dice una vocina interiore); è gentile, premuroso (“anche troppo”, aggiunge la vocina).
Ester sbuffa.
Uffi.
Sa che c’è qualcosa che non va in questa serata. E ciò che non va non è ricevere messaggi da un uomo che conosce da poco e che si è permesso di scegliere il suo abbigliamento per una cena con un altro, ma forse proprio il contrario: essere a cena per educazione con un uomo che non la sa prendere, non la sa emozionare, con cui spegnere al più la serata in una scopata compassionevole.
Ester si rende conto di essere arrivata a un punto di rottura.
Sbuffa di nuovo.
Sorride.
E ora la richiesta del messaggino non le sembra più assurda, anzi acquista una sua logica.
Si osserva nello specchio come aveva fatto prima di uscire. Le sembra che i capezzoli si intravvedano appena: del resto ha un seno elegante e ben proporzionato, non è nemmeno così strano uscire senza reggiseno.
Poi ruota su se stessa, guarda il fianco, la linea sottile dell’elastico del perizoma.
Non se ne accorgerà, non è così attento.
“Uffi. E va bene”, pensa.
Arriccia appena il vestito e veloce sfila le mutandine. Le appallottola nel pugno e le infila nella borsetta.
Poi ricorda. Le riprende in mano, scatta una foto, le rimette via.
Vorrebbe concedersi un terzo “Uffi” e invece si dice “L’ho fatto”. E si sente forte, e si sente elettrica.
Prende il telefono, invia la foto.
Nella chat, la riga sopra riporta ancora il messaggio dell’uomo: “Ora per favore dovresti togliere il perizoma e mostrarmelo”.
Sta uscendo dal bagno per tornare al tavolo.
Il telefono emette un bip.
Ester sente un brivido scendere dalla nuca alla pancia.
Prende il telefono e legge.
Sorride.
Si aggiusta il vestito.
Esce.
“Cosa fai dopo cena? Se non finisci tardi, passo da te? Vorrei rivedere come ti sta bene il vestito blu”.
*
Due, tre, quattro cambi. La scelta dell’abito non era stata semplice, in compenso era stata divertente: ad ogni “giro” Ester si sentiva un po’ più sicura e un po’ più bella. L’uomo le faceva provare combinazioni, le chiedeva di raccogliere i capelli, poi di scioglierli. Alla fine era tornato su quello che aveva provato per secondo, l’abito corto e aderente delle foto con Angelica. L’uomo era apparso molto soddisfatto e Ester si sentiva ora sicura, condotta e apprezzata.
Aveva ancora mezz’ora prima del suo appuntamento e, anche se la dinamica era piuttosto anomala, lo svolgimento del compito si stava rivelando coinvolgente. Nell’aria si avvertiva una corrente elettrica, resa più eccitante dall’asimmetria della situazione.
“Ma tu – aveva chiesto Ester all’uomo – cosa ne ricavi da tutto questo? Voglio dire, non sarebbe allora meglio uscire noi due?”.
L’uomo aveva sorriso, poi si era alzato per sistemarle una ciocca di capelli. L’aveva guardata ancora e aveva risposto con naturalezza: “Così sei perfetta, devi solo togliere il reggiseno e poi puoi andare alla tua cena”.
“Non è una risposta! – aveva detto Ester, piccata. – E comunque mi pare eccessivo”.
Poi però lo aveva fatto. E mentre lo toglieva aveva notato che l’uomo non la guardava mai spogliarsi, educatamente distoglieva lo sguardo. E avevano riso bevendo un bicchiere di vino prima che Ester finisse di truccarsi. E lui le aveva spiegato che le avrebbe scritto durante la serata perché occorreva che facesse ancora una cosa per lui. E lei aveva detto “Certo”, come se fosse ovvio. E poi aveva avuto paura, e poi si era sentita eccitata. E allora lui le aveva preso ancora le mani e lei aveva sentito forza, una forza che le veniva da dentro. E si era anche sentita un po’ capita. E quello che non aveva capito era cosa sarebbe successo poi, dopo la cena. E lo aveva chiesto. E per tutta risposta – come aveva fatto prima quando le aveva fatto togliere il reggiseno – l’uomo non aveva davvero risposto nel merito, aveva passato un dito sull’elastico della brasiliana che sporgeva sotto il vestito e aveva detto “Forse un perizoma sarebbe meglio?”. E così lei era andata a cercarlo, anche se non ne metteva spesso. E questa volta si era cambiata davanti a lui, e lui aveva guardato. E si era sentita davvero bella a farlo sotto uno sguardo solido. E di nuovo aveva sentito quella forza, anche quando per esempio lui aveva detto “Sì, così è meglio” o quando le aveva detto “Grazie, mi hai fatto un regalo”. E solo uscendo, mentre chiudeva la porta a chiave e scendevano insieme in ascensore come se dovessero andarci insieme a quella cena, aveva capito che quello che lui riceveva da quel gioco era complementare e simmetrico a ciò che riceveva lei. Si stavano dando energia, riempiendo uno i vuoti dell’altra. E aveva capito che in un certo senso ci andavano davvero insieme a quella cena. E così, quando erano arrivati al portone uscendo come due sconosciuti, e lei era salita nell’auto del suo corteggiatore, e nel movimento aveva sentito il vestito tendersi sul culo e metterlo in risalto, era agli occhi di lui, dell’uomo del letto, che aveva pensato e non a quelli di quello con cui avrebbe passato la serata.

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