Il blog di Dire Fare l'Amore
Sussurri e grida [(l’udito) racconto erotico]
SUSSURRI E GRIDA
«Da quanto è che non entro in una chiesa? – si domandò Adriano attraversando l’ingresso laterale della basilica –. Sarà dal funerale di papà».
Il fruscio del legno sullo zerbino consunto accompagnò la chiusura del portoncino, che, sbattendo, tagliò fuori i rumori della città. Un’altra colonna sonora si diffondeva all’interno, una playlist di bisbigli, passi attutiti e inginocchiatoi cigolanti.
I mocassini dell’uomo echeggiarono nella navata di destra, mentre avanzava lentamente, esaminando con circospezione le poche persone presenti. Il suo volto tirato dimostrava più dei suoi cinquant’anni ed esprimeva dolore, preoccupazione, forse pentimento.
Incurante dello sguardo di una donna anziana, si arrestò davanti alla statua della Madonna e accese un cero con una mano tremante più per l’impazienza che per l’età. Nel silenzio della chiesa, la monetina che cadeva nella cassetta sembrò produrre un rumore eccessivo.
«Speriamo che adesso non si voltino tutti», pensò Adriano.
Si guardò nuovamente intorno, cercando il confessionale. Ce n’era una mezza dozzina, disseminati nelle cappelle laterali, ma tutti desolatamente vuoti e con la lucina sulla porta spenta.
«Ma chi si confessa ancora, al giorno d’oggi?», si chiese perplesso.
Un suono sordo alle sue spalle fece lo sussultare. Proveniva dalla porta della sacrestia, che si era richiusa all’uscita di un ragazzo. Istintivamente Adriano si nascose dietro una colonna, appena in tempo per vedere una donna matura ma giovanile, vestita di un completo scuro elegante, alzarsi da un banco e sgusciare rapidamente nella stanza.
Era come se anche i pochi rumori della basilica si fossero spenti per un improvviso black-out. Ora Adriano avvertiva solo il battere del suo cuore, tachicardico per l’emozione e aritmico per la paura.
Allora era vero. Cristina era lì. Come aveva sospettato. Temuto, per l’esattezza. Una gran devota, non lo era mai stata. Messa a Natale e Pasqua. Un Padrepio in cucina. Una bibbia mai aperta nella libreria del salotto.
Quindi, se aveva deciso di entrare in una chiesa, di confessarsi, probabilmente, questo confermava i sospetti che Adriano nutriva da un po’ di tempo.
“Nutriva” non è il termine esatto. Il tarlo che rodeva Adriano era vorace, bulimico. E lui lo alimentava con i suoi migliori incubi, lo saziava di ansie, lo viziava con profezie sempre avverate, con timori confermati.
Aveva cominciato a prestare più attenzione ai gesti di lei, la trovava ultimamente più curata. Non aveva forse iniziato la dieta?
E, stavolta, non era riuscita a proseguire per due settimane?
Non aveva ravvicinato gli appuntamenti dall’estetista?
Non aveva anche – e questa era “la” prova – espresso il desiderio di andare a trovare una sua amica, maestra elementare a Cagliari? Lei, che odiava i viaggi in aereo!
Adriano si era fatto sospettoso, astuto. Aveva preso ad ascoltare le sue telefonate da dietro la porta. A origliare in corridoio.
E quei sussurri appena udibili erano diventati grida nel suo cuore.
Fino al giorno in cui l’aveva sentita confermare: «Allora verrei a confessarmi domani pomeriggio verso le tre, se per lei va bene…».
Per la formazione religiosa di Adriano, non particolarmente coltivata da quando aveva ricevuto la prima Comunione, confessarsi era sinonimo di peccato. E peccato, per una donna sposata da venticinque anni con quello che era stato il suo primo ragazzo, non poteva essere che un tradimento.
Del resto, lui era un professore di matematica. E le equazioni erano il suo pane. A=B e B=C.
Dunque, il risultato era “C”. Corna.
Ad Adriano sembrava che anche il fruscio dei vestiti risuonasse con troppa intensità in quella basilica semivuota che associava a una bara di mogano e all’adagio di Albinoni. Misurava i suoi movimenti mentre si avvicinava alla porta dalla quale era passata sua moglie poco prima, e che era rimasta appena socchiusa.
Una lama di luce filtrava sul pavimento di marmo. E, attraverso la stessa fessura, un filo sonoro trovava il suo sentiero e si diffondeva, sommesso ma udibile, nella chiesa.
Un passo, e quel filo sarebbe divenuto parola.
Un respiro gli diede il coraggio di percorrere il metro che lo separava dalla verità.
«E… dura da molto questa situazione?», stava chiedendo una voce maschile, profonda, autorevole.
La risposta sembrò tardare eccessivamente. Poi un timbro più acuto e meno distinguibile:
«Saranno… un paio di mesi. Sì, due mesi. Ma all’inizio non pensavo che… Insomma, voglio dire, non me ne ero accorta nemmeno io».
«E lei, come la sta vivendo?».
«Guardi, se devo essere sincera… Oddio, mi scusi, mi viene da piangere…». La voce si fece più rotta: «Se devo essere sincera, all’inizio mi sentivo in colpa. Ora… ora ho solo paura di farlo soffrire, perché lui… Insomma, lui, con me… è sempre stato così… così…».
Una lunga serie di singhiozzi completò quello che mancava alla frase.
Adriano sentì le gambe cedergli. Il respiro mancare.
Corse fuori dalla chiesa incurante del rumore che facevano i suoi passi sul pavimento, dello sbattere della porta e del grido che usciva dal suo petto mentre i rumori della città esplodevano nella piazza.
La ragazza era bella. Bellissima. Ma anche l’amica non era niente male. Una bionda, l’altra mora. Non le Veline, ma quasi.
Infatti Eros non era l’unico che le aveva notate mentre prendevano posto in un tavolino all’aperto sotto l’ombrellone d’angolo. Tutti i clienti maschi e molte clienti femmine ne avevano seguito la traiettoria fin dal loro ingresso nella piazza.
Laiche preghiere si erano levate al dio della libido affinché la loro sinuosa parabola approdasse il meno distante possibile. Scongiuri ed esercizi di pensiero positivo avevano cercato di influenzare la scelta del tavolino, tra i quattro-cinque ancora liberi.
Poi le due grazie si erano posate come farfalle, ad equa distanza tra una coppia di anziani con gelato davanti al naso (immediato sguardo di benedizione del marito, anticipato però da controsguardo di riprovazione della moglie) e un gruppetto di adolescenti con picco di testosterone in corso.
Sguardi da rigore sbagliato al novantesimo percorsero invece i volti dei clienti dei tavolini più distanti.
Eros aveva seguito tutta la manovra con partecipazione e attesa. Dal momento in cui le aveva viste puntare il bar, del resto l’unico aperto in quel pomeriggio di maggio, sapeva che poteva essere contento. Per lui era indifferente quale tavolino avrebbero scelto. Era il solo cameriere del locale e, in ogni caso, sarebbe toccato a lui servirle.
Due gonne cortissime, il primo caldo di primavera e il risveglio degli ormoni avevano fatto il resto. Eros si era avvicinato al tavolo consapevole del gonfiore che deformava il grembiule, ma impotente a porvi rimedio.
Per un istante, aveva avuto l’impressione di essere invisibile. Stava impalato a mezzo metro da loro, con il blocchetto in mano e la sua espressione più professionale; ma le due, immerse in una fitta conversazione, lo ignoravano totalmente.
«E tu? Lo hai lasciato fare?».
«Beh, diciamo che lui ha lasciato fare me…».
«Ma, lì, al ristorante?».
«Però il tavolo era defilato! E le tovaglie molto lunghe…».
«Sei terribile!».
«Non ti ho ancora detto il seguito!».
Eros era consapevole che, tra l’erezione che non poteva nascondere e gli sguardi degli altri, invidiosi clienti che lo fissavano e già se la ridevano, stava avviandosi rapidamente a fare una grande figura di merda. Doveva ottenere la loro attenzione immediatamente.
«Posso…?».
«…».
«Posso…?».
«Certo che puoi, tesoro!».
«Le ordinazioni, intendevo…».
«Chiaro, amore! Tu che prendi, Jessica? Io una banana split. Ce l’hai la banana, cucciolo?».
Eros era al limite delle sue forze.
«Io preferirei un Sex-on-the-beach. Che dici, biondino, lo fai il Sex-on-the-beach?».
«Certo», balbettò.
L’imbarazzo era palpabile, e il cameriere quasi salutò come una liberazione l’arrivo di un uomo trafelato e visibilmente agitato, che aveva scorto con la coda dell’occhio uscire poco prima urlando dalla chiesa.
Lo stridio di una brusca frenata accompagnò l’attraversamento precipitoso della piazza da parte di Adriano. Un sordo rumore metallico, il suo urtare un tavolino del bar. Infine, con un sonoro sospiro si lasciò cadere su una poltroncina di alluminio, proprio accanto alle due ninfe.
Lo sguardo dell’uomo era perso (così perso da non notare, apparentemente, le ragazze), la pelle purpurea, il respiro si spegneva in un fischio ad ogni espirazione.
Adriano si voltò verso il cameriere:
«Cos’ha di forte?».
«Perché non ti fai un Sex-on-the-beach?», propose la bionda, scoppiando a ridere senza ritegno.
Umiliato da quel commento che aggiungeva pena a pena, Adriano sussurrò a Eros il suo desiderio di una grappa.
«Una banana split, un Sex-on-the-beach e una grappa», riepilogò Eros, allontanandosi.
Le due bellezze si immersero immediatamente in una nuova conversazione, e il loro pigolare invase l’aria inframmezzato dagli sbuffi di Adriano che fissava come ipnotizzato il portone della chiesa.
«Adesso chiudi gli occhi. Ascoltami. Sto per dirti quello che ti farò tra poco».
La donna deglutì. Le parole del suo amante le avevano procurato un brivido di eccitazione. Era completamente vestita, appoggiata al davanzale della finestra della pensione, spalancata sulla piazza. Dal basso salivano come fumi i suoni morbidi della città.
Lui, in piedi dietro di lei, la cingeva in vita e le parlava all’orecchio. Il suo bacino appoggiato con decisa leggerezza sulle natiche.
«Guarda la gente sotto di noi – le sussurrò –; nessuno sa che, tra poco, faremo l’amore. Guarda quel giovane cameriere qui giù, come fissa le due ragazze. È eccitato. Ma non le avrà mai. Sono troppo stronze. Troppo narcise».
«Ma, sbaglio o ce l’ha duro?».
«Già!».
Lei rise: «E quell’uomo vestito di scuro? Che faccia! Ci scommetto che quello è stato lasciato dalla moglie…».
«Come me, allora».
«Beh, ci ha scoperto a letto! Cosa credevi facesse?».
«Meglio così. Adesso mi dedicherò solo a te».
Chiunque l’abbia provato, sa quanto è difficile capire cosa ti dice uno nell’orecchio se, nel mentre, decide di solleticarti il padiglione con la lingua.
Ne esce qualcosa tipo: «Adesscccio penscccio che ti slllasscio la gonnnna eeeeh tiii strrrrofffino».
Era un po’ questo l’effetto nel timpano di Erica. Anni 28, impiegata, amante di Fabio, quarantenne, dirigente, neoseparato. E le moine nell’orecchio erano il preludio del loro primo weekend da persone libere. Due notti in una pensione nel centro di una città d’arte. Lei aveva scelto, lui pagava. Come sempre. Come nella loro vita, in fondo.
Lei aveva scelto lui. Lui pagava le conseguenze.
«Immagina le mie mani sui tuoi capezzoli. Li afferrano dolcemente, li massaggiano, li stringono. E poi scendono lungo i fianchi. Si appoggiano sulle natiche. Le allargano. Palpano le cosce. Risalgono».
«Oddio, muoio, se continui così. Sono già un lago».
Erica appoggiò con più forza le mani al davanzale e spinse indietro il bacino, facendo pressione sul sesso di lui.
«Ehi, siamo in forma!».
Per mentire a una donna, generalmente, la risposta più semplice è la migliore. Ma non sempre la più pronta.
Fabio tentennò. Poi disse, poco convinto: «Dubitavi?».
Stava pensando alla pastiglia blu che aveva preso un’oretta prima, in previsione di questo incontro. A quanto gli stesse costando fingere gioia per questi giorni con Erica, mentre il pensiero volava alla donna che aveva perso.
Aveva lasciato fare la chimica per non coinvolgere il cuore. E, in effetti, la chimica funzionava; il cuore meno.
Non voleva ferire Erica. E stava ferendo se stesso. Era confuso, ma non era capace di ammetterlo.
«Che c’entra “dubitare”?». Riprese lei.
«Niente, dicevo per dire. Era una battuta».
«Ti riferisci al “problemino” dell’altra volta?».
«Non lo chiamerei “problemino”. Ero stanco. E poi guarda che per me non sono giorni facili».
«Non ho mai detto che lo siano. Anche per me è stato difficile, tutti questi anni…».
«Ora però non ricominciare…».
«Io???».
Erica ritrasse il bacino. Fabio scostò le mani.
Dalla piazza salì il rumore di un bicchiere che si infrangeva a terra.
«Adesso però dimmi cosa gli hai fatto dopo».
«Ok. Ma resta tra me e te, chiaro? L’ho portato nel bagno del ristorante, l’ho spinto dentro, ho chiuso la porta e ce l’ho appoggiato contro. Mi sono inginocchiata e gli ho detto: “Adesso godi”».
Eros afferrò per un pelo il vassoio con la quarta grappa e lo riportò in assetto stabile, guardando a terra i cocci del bicchiere che non aveva potuto salvare.
Ad ogni viaggio dall’interno alla zona tavolini, tendeva l’orecchio alla conversazione delle due ragazze che si faceva sempre più torrida.
Aveva rinunciato a nascondere l’erezione, confidando nell’ampio grembiule; e sperava che nessuno notasse il rossore del viso e l’agitazione che lo scuoteva. Del resto, aveva diciannove anni e poca esperienza in fatto di sesso.
Sul tavolo accanto a quello delle quasi-veline, Adriano era ormai prossimo all’ubriachezza molesta e, di tanto in tanto, lanciava una battuta alle due, che fingevano di stare al gioco per ridere di lui.
Di colpo, si voltò verso un nuovo cliente che stava passandogli accanto. Si alzò in piedi, reggendosi allo schienale della sedia e proclamò:
«Ma insomma, ce l’avete tutti in tiro qui?».
In effetti, non si poteva dargli torto. All’erezione del giovane cameriere turbato dalle confessioni delle spregiudicate sventolone, si era appena aggiunta quella di un uomo ben vestito, certamente benestante, che lasciava trasparire con una certa evidenza una solida tensione intima.
Fabio aveva litigato con Erica. Era sbottato; il sussurro si era fatto grido. Poi porta sbattuta.
Ma la chimica, nemmeno stavolta, aveva saputo seguire il cuore.
Così, cervello confuso e pisello fin troppo deciso, l’ex marito, ora anche ex amante, era approdato nel bar sottostante l’albergo per trovare conforto in un superalcolico.
Il disagio del giovane cameriere, alle prese con due ragazze esuberanti, un ubriaco socievole e, ora, un depresso con una vistosa erezione, crebbe ulteriormente all’arrivo di una signora elegante, che solcava la piazza a lunghe falcate, malgrado i tacchi, congiungendo con una linea retta il portone della chiesa e l’ingresso del bar.
Mentre dava il resto alle due ragazze, l’osservava avvicinarsi con espressione decisa, seppur segnata da un pianto recente. Il suo sguardo puntava dritto Adriano, al momento impegnato in una conversazione che avrebbe voluto essere brillante con la Velina mora.
I tacchi della donna echeggiavano come un conto alla rovescia, aumentando di intensità ad ogni passo.
«Ecco, ci siamo – pensò Eros, che aveva visto arrivare la burrasca –. Ci mancava solo questa».
Come avviene per certi temporali estivi, annunciati da un boato lontano, che poi si scatenano con un crescendo di scoppi, crepitii, rombi, in pochi secondi, il piccolo bar della piazza divenne il teatro di intricati conflitti.
«Adriano! Che ci fai qui? E chi è questa?», esplose Cristina, afferrando il marito per il bavero della giacca.
«Cristina!», sussultò l’uomo. Poi si liberò della presa e puntò un dito verso la moglie.
«Vieni tu a farmi la lezione, adesso? Dopo quello che mi hai fatto?!».
«Ma cosa dici?».
Adriano avrebbe voluto gettare in faccia alla moglie due mesi di sospetti, angosce, conferme, ma fu bloccato dall’arrivo di una seconda donna, decisamente più giovane, che lo scansò e lasciò cadere ai piedi del secondo cliente una borsa da viaggio con aria di disprezzo:
«Sei un cretino, Fabio. Hai rovinato tutto».
Rabbia e delusione si fusero in un pianto che accompagnò i passi di Erica lungo il marciapiede.
«Ciao, bambolotto!», salutarono le bellissime troppo bellissime. Da come si muovevano, era evidente che sentivano un’inesistente sigla finale che nella loro fantasia accompagnava la loro uscita di scena.
Eros, trasse un respiro di sollievo.
«Cristina…», provò a dire Adriano.
«No, ora mi ascolti. Zitto».
«Non gridare così! Ci sentiranno giù in piazza…».
«Non me ne frega niente… Se vuoi, chiudi la finestra. E poi, ne hanno sentite già abbastanza oggi!».
«Allora scopami ancora!».
E fu così che il sig. Adriano, malgrado l’età, malgrado il tasso etilico, fece l’amore a sua moglie Cristina come non l’aveva fatto da tempo. Incurante della finestra aperta, del tintinnare dei bicchieri nel bar sottostante, del vociare di Eros e dei clienti.
Avevano occupato l’ultima stanza libera dell’albergo, rapidamente rifatta dal gestore dopo che una coppia l’aveva frettolosamente abbandonata. A casa avrebbero trovato i figli, e la voglia che sentivano in corpo non poteva aspettare.
Seduti fianco a fianco al tavolino, Cristina aveva avvicinato le labbra all’orecchio di Adriano e gli aveva raccontato, in un solo, prolungato sussurro, delle sue apprensioni degli ultimi tempi. Di un nodulo al seno; di un esame poco chiaro. Della sua voglia però di reagire, di farsi bella per lui, perché la vita non si facesse fermare dalla malattia. E poi di quello stupido senso di colpa per non avergliene parlato. Del non volerlo fare preoccupare finché non fosse stata certa. Del bisogno però di parlarne con qualcuno di fiducia. Della confessione di oggi.
«Voglio fare l’amore con te», aveva risposto Adriano.
«E dove?», aveva chiesto lei.
Lui si era chinato su di lei e, alzando lo sguardo alla finestra del primo piano, le aveva sussurrato una proposta.
«Il conto!», aveva gridato Cristina, alzandosi di scatto.
12 Commenti
collezionavo
17 Aprile 2008Come non farti i complimenti…sei l’allievo che supera il maestro..te stesso…ogni volta che la tua penna tocca foglio…tutto si colora…sei grande…M.
ZuZuli
18 Aprile 2008Letto tutto d’un fiato.
Stordita sono…Saro banale, ripetitiva, ma tu vai oltre e non sopporto non ci sia un libro con il tuo nome a caratteri cubitali!
inachisio
18 Aprile 2008Un libro “vero” non credo ci potrà essere, però mi piacerebbe provare ad autopubblicare con lulu.com.
Ci sto pensando.
Intanto però grazie a Collezionavo e Zuzuli che sento proprio amiche.
Inachis
ruggioso
19 Aprile 2008Bello, hai descritto le situazioni in modo eccellente. Hai mischiato le carte, senza tuttavia confonderle e confonderci, dandoci sempre modo di seguire la giusta via.
Solo: Bravo:
Rug
baciodirugiada
19 Aprile 2008uhhhhhhh sono rimasta un po’ indietro con le letture … ma ora recupero .. ah se recupero ghgh.
Bravo sei semper più bravo!!!*___*
ocramasil
4 Settembre 2008Dovresti pubblicare i tuoi racconti…e’ riuscita PULSATILLA…io dal mio piccolo posso solo continuare a farti i complimenti e a lasciarmi rapire da quello che leggo!!!
inachisio
4 Settembre 2008Ahahaha, grazie Ocramasil. Per il momento me li pubblico da me.
😉
Inachis
Lust
20 Maggio 2011Questo racconto andrebbe messo in scena.
Sukiauki
7 Novembre 2011ciao Inachis, ancora una volta mi é sembrato di stare a vedere un film … troppo bello il modo come scrivi te ( scusa la conffidenza di darti del “TU” , ma che per me é meno complicato per congniugare i verbi nella seconda persona del singolare nella tua bella lingua che purtroppo io ancora non parlo ni scrivo bene ).. non vedo l’ora di leggere il terzo senso…rsrrs
complimenti ancora una volta…
principessamimi
20 Febbraio 2014continuo a scoprirti … e sei interessante!
mi piace il tuo racconto che sento sospeso … perché mi lascia addosso la fantasia di immaginare il seguito … perché lo sento possibile, potrebbe raccontare di me o della mia vicina 🙂
inachisio
20 Febbraio 2014Grazie! Indaghiamo sulla tua vicina, allora?